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Autori in giallo

di Paola Ratti

Numero 215 - Novembre 2020

Gli scrittori Erica Arosio e Giorgio Maimone hanno pubblicato un nuovo romanzo dal titolo “Delitti all'ombra dell'ultimo sole”. Ne abbiamo parlato con loro, ormai tra i più amati esponenti del giallo italiano


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Dopo averci appassionato con la saga letteraria di Greta e Marlon (che presto ci regalerà altre storie), Erica Arosio e Giorgio Maimone ci regalano un nuovo romanzo dal titolo “Delitti all'ombra dell'ultimo sole” (Frilli Editore), ambientato stavolta non nella loro amata Milano bensì in Liguria e in particolare in un locale vicino al mare, intorno al quale ruota una serie di delitti.-taglio- Noi ne abbiamo parlato direttamente con i due scrittori, che nel corso degli ultimi anni sono riusciti a conquistare gli amanti del giallo Made in Italy. Con “Delitti all’ombra dell’ultimo sole” vi siete spostati dalla vostra amata Milano alla Liguria. Come mai? ERICA: “Avevamo voglia di cambiare, sia luogo e tono che epoca. Finora avevamo scritto romanzi ambientati nel passato, questo invece si svolge ai giorni nostri, in riva al mare delle Cinque Terre e ha un tono più lieve. Sia io che Giorgio conosciamo benissimo Levanto e Bonassola, ci abbiamo passato molte estati e sono posti che ci piacciono molto perché conservano una loro autenticità e non sono poi cambiati così tanto negli ultimi decenni. Di recente le vecchie gallerie del treno (la linea ferroviaria è stata spostata da tempo all’interno) sono state riqualificate, trasformate in un bellissimo percorso pedonale con pista ciclabile. Il locale dove si svolge la vicenda è fra due di queste gallerie, un posto isolato e particolare. Ah, l’abbiamo inventato noi, il pub All’ombra dell’ultimo sole è nella nostra fantasia. Passare al contemporaneo ma non in un contesto metropolitano, ha reso meno brusco il cambiamento, ma ci permette comunque di confrontarci con un giallo contemporaneo.” Il titolo vuole essere un omaggio a Fabrizio De André. Quanto siete legati a questo grande cantautore e alla sua poetica? GIORGIO: “Fabrizio De André è stato uno dei più grandi autori del secolo scorso. E uso volutamente il termine “autore” e non cantautore. Nel senso che, contrariamente agli altri cantori d’epoca, De André non ha mai raccontato se stesso o il proprio ombelico, ma ha sempre narrato, raccontato storie che partivano da uno specifico e arrivavano a un universale. Come solo un grande autore sa fare. Ispirarsi a lui non è neanche tanto uno scelta, quanto un necessità: De André è nel nostro Dna. Chiunque abbia respirato l’aria di quegli anni, dalle canzoni e dalle storie di Fabrizio è stato permeato. Quale migliore occasione quindi di dedicargli un posto caro e amato nelle nostre storie? Come questo bar-ristorante ai confini dell’universo, dove tanti “amici fragili” possono ritrovarsi a rendere meno isolata la propria solitudine. “Delitti all’ombra dell’ultimo sole”, al di là degli sprazzi di ironia e comicità, è anche un non-luogo dove diversi individui (e individui diversi) possono sentirsi parte di una collettività.” Parlateci della genesi di questo romanzo. Quale immaginario vi ha ispirato? Quando l’avete scritto? “Il riferimento immediato potrebbe essere a Malvaldi e alle storie del Bar Lume. Anziché vecchietti, in questo caso, ci sono ragazzi attorno ai 30 anni, un età di passaggio molto difficile, in cui convive ancora un po’ di adolescenza (soprattutto ora che l’indipendenza economica arriva dopo) con il passaggio all’età adulta e all’assunzione di responsabilità. Metà dei nostri protagonisti infatti lavorano e l’altra metà ciondola ancora in giro, passando da un lavoretto precario all’altro, cercando la propria strada nella vita. Ma qualcosa dobbiamo anche a “Pian della Tortilla” di John Steinbeck e al “Ristorante al termine dell’universo” di Douglas Adams. A unirlo a quest’ultimo c’è anche una scelta stilistica ben precisa: i protagonisti parlano tutti in prima persona e raccontano la propria versione dei fatti. Quindi non abbiamo una visione “oggettiva” di quello che succede, ma solo una visione soggettiva. In questo modo abbiamo voluto sia impostare una narrazione che ricorda un radiodramma, sia rendere un’immagine plastica della lingua odierna dei giovani, come si sviluppa sui social, in cui ciascuno rappresenta solo se stesso e persegue una sua narrazione staccata dal contesto collettivo. Sotto altri aspetti abbiamo scritto un fumetto, invece.” Voi ormai siete diventati dei punti di riferimento per gli amanti del giallo. Cosa amate di questo genere? GIORGIO: “Vivo di libri gialli fin dalla più tenera età. I Gialli Mondadori, assieme a Topolino e ai classici marxisti, rappresentano la base della mia cultura: sono un giallista marxista-topolinista! Oltre ai grandi classici (Simenon, Agatha Christie, Chandler) ritengo un momento particolarmente felice e una svolta nella tradizione del genere, l’avvento del noir mediterraneo (Izzo, Montalban, Camilleri, Carlotto e via via tutti gli altri). Giallo e noir sono generi affini che si danno spesso la mano e che a volte entrano in conflitto, avendo il primo un’anima salvifica (le forze del bene devono vincere) e il secondo un’anima dannata (non necessariamente il bene trionfa e comunque mai del tutto).-taglio2- In questa ambiguità ci sta più o meno tutto il mondo di mezzo ed è lì che mi piace sguazzare. In particolare la mia predilezione vira soprattutto sugli autori di polar francesi (oltre a Izzo, Manchette, Leo Malet, Helena, Bussi, Musso). Resto freddo di fronte alla freddezza degli autori scandinavi.” ERICA: “Mia madre era un’accanita lettrice di gialli e fin da piccola ho ereditato la sua passione. Il giallo è di facile lettura, vai avanti veloce perché sei curiosa di sapere come andrà a finire: chi è il colpevole? Da questo primo approccio ingenuo, ho poi scoperto la meraviglia delle ambientazioni e la capacità del genere di immergerti nel clima storico di un’epoca. Come pensare all’America prescindendo da come l’hanno raccontata Ellroy, Chandler o Hammet? Leggo un po’ tutto, anch’io come Giorgio sono tiepida nei confronti dei nordici, e glaciale nei confronti dei roboanti gialloni storici peggio che mai se esoterici. Mi piacciono invece molto i francesi, su tutti Simenon, se solo avessi un decimo del suo talento. Ho molto amato Patricia Highsmith anche per il suo distacco dal senso morale comune. Mi piacciono molto i noir, Jim Thompson, Cornell Woolrich, David Goodis fino agli eccessi di Derek Raymond. Mi hanno appassionato i primi romanzi di Michael Connelly, fino a Il ragno, adesso non lo leggo più. Ho letto tutto Carlotto, ma gli ultimi mi sembrano sciatti. Mi piacciono quasi sempre Lucarelli e Andrea Manzini. Invidio la bravura di Michel Bussi, il suo Ninfee nere è un capolavoro. Mi piaceva Fred Vargas ma ora si è fatta prendere troppo dal sovrannaturale. A differenza del mio coautore mi diverto con Giorgio Scerbanenco. Potrei continuare, perché per fortuna le belle scoperte nelle letteratura non finiscono mai.” Come vivete questo periodo così difficile, anche per il mondo della cultura? Secondo voi il lockdown ha avvicinato le persone alla lettura? ERICA: “Questo periodo greve ci sta cambiando tutti, le nostre abitudini, le nostre sicurezza sono sotto attacco e spesso in scacco. Credo che molti stiano leggendo di più, ma penso che la maggior parte delle persone stia ormai incollata alle piattaforme. Da Netflix a Amazon e a tutto quello che nel bene e nel male sta dentro il computer. Non mi piace tutto questo, perché induce una rassegnazione generalizzata a un isolamento sempre più forte. Stiamo perdendo l’abitudine ai contatti personali diretti, tutto è mediato dal velo virtuale di schermi più o meno grandi. Cerco di non sprofondare nel pessimismo e allora dico che tutto il mondo della cultura si sta impegnando per trovare modi alternativi. Mi chiedo quanto dei cambiamenti in atto saranno temporanei e da quanti invece non ci libereremo più. Visto che in questo periodo l’unica cosa che non ci manca è il tempo, possiamo usarlo per pensare e cercare delle risposte. Come tutti, a costo di essere banale, spero che la clausura e la paura finiscano al più presto. Se ne usciremo migliori, davvero non lo so. Diversi sì, corposamente, inevitabilmente diversi e temo più spaventati e fragili.” Ormai tutto si è fatto virtuale, comprese le presentazioni dei libri che avvengono sempre più spesso attraverso webinar. Cosa ne pensate? ERICA: “Far di necessità virtù, o si pensa questo, o ci si spara che non sarebbe una buona idea. Le presentazioni virtuali non sono la stessa cosa di quelle in presenza, ma anche quelle in presenza contingentate, con mascherine e gel in primo piano, distanziamento e compagnia bella sprigionano una tal sensazione da fine del mondo che tanto vale il virtuale. Stiamo imparando a usarlo, per certi aspetti il virtuale ha virtù (dite che la radice è la stessa? Il virtuale è pure virtuoso? Mi sa di no) perché allarga le porte della conoscenza e arriva dovunque. Certe cose resteranno e saranno utili, ma la voglia di esserci, di toccare, di annusare per me sta diventando un tormento. Purtroppo l’inverno che ci aspetta sarà lungo e buio.” Cosa bolle ora nei vostri computer? Un nuovo romanzo? Ritroveremo prima o poi Greta e Marlon? “Greta e Marlon sono vivi e lottano assieme a noi. Una loro storia è già pronta e finita, si intitola “Macerie” ed è ambientata nel 1950. E’ il prequel di tutte le loro avventure: ambientata nel momento in cui i due fanno la loro conoscenza. Per quanto riguarda Marlon da solo, in questi giorni stanno uscendo due racconti che lo vedono protagonista: il primo in “I luoghi del noir”, antologia dei Fratelli Frilli (“Natale al Jamaica”) e il secondo all’interno di “Quattro volte Natale”, Todaro Editore (“Marlon e il calendario dell’avvento”).”





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