Semplice e mai banale
Un carattere forte e deciso che porta ad una professionalità intensa ed attenta: questo il “segreto” neanche troppo nascosto di una delle nuove regine di Hollywood
Amanda Seyfried non smette di sorprendere. Da quando ha incantato il mondo con Mamma Mia! fino al Golden Globe e all’Emmy vinti con “The Dropout”, l’attrice americana ha dimostrato una versatilità straordinaria, muovendosi con naturalezza tra commedia, dramma e musical. All’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stata la protagonista di “The Testament of Ann Lee”, -taglio- un musical radicale diretto da Mona Fastvold e ambientato nel XVIII secolo. Il film racconta la vera storia di Ann Lee, fondatrice della comunità religiosa degli Shakers: una donna che, in un’epoca dominata dagli uomini, seppe farsi spazio fino a essere riconosciuta come una sorta di «Cristo al femminile». A rendere ancora più chiacchierata la sua presenza al Lido è stato anche il look sfoggiato in conferenza stampa: Amanda si è presentata con lo stesso completo Versace by Dario Vitale indossato pochi giorni prima da Julia Roberts per la promozione del suo film veneziano After the Hunt. Un omaggio dichiarato al suo idolo, ma anche un gesto di sostenibilità e ironia che ha fatto il giro del web. «Please let me wear the same outfit», aveva scritto la Seyfried alla stylist Elizabeth Stewart su Instagram, trasformando la passerella in un messaggio moderno e divertito: “sharing is caring”. Dietro quell’ironia da photocall, però, c’è un lavoro intenso e catartico: “The Testament of Ann Lee” è un film che mette alla prova corpo e voce, portando sullo schermo una spiritualità cruda e viscerale che Amanda Seyfried interpreta con una delle prove più sorprendenti della sua carriera. Amanda, interpretare Ann Lee significa dare voce a una donna che la Storia aveva quasi cancellato. Cosa ti ha colpita di più di questa figura? «Mi ha colpito la sua forza. Ann Lee ha vissuto molti traumi, ma li ha superati con la sua devozione a Dio. Non era solo una leader religiosa: era una donna che cercava un posto in un mondo che rendeva invisibili le donne.» Hai parlato di un percorso difficile. In che senso lo è stato per te? «È stato speciale, ma anche complesso. Non capita spesso di interpretare qualcuno che deve trasformare il dolore in forza. Io ho cercato di restituire proprio questo: la resilienza di una donna che non si arrende.» Il film mette in luce anche un forte senso di comunità. Quanto lo hai percepito sul set? «Molto. Girare questo film è stata un’esperienza quasi comunitaria. Ci sentivamo tutti uguali, senza gerarchie. Io ho potuto affrontare le difficoltà solo perché mi sentivo protetta e sostenuta da chi lavorava con me. Non capita spesso, e forse non capiterà più.» Questa atmosfera ha influenzato anche la tua interpretazione? «Sì, perché mi ha permesso di lasciarmi andare. Quando sai di avere intorno persone che ti proteggono, puoi osare di più. È lì che è nata la libertà che ho provato in questo ruolo.» La musica di Daniel Blumberg è parte integrante della narrazione. Che ruolo ha avuto nel tuo lavoro? «Fondamentale. Quegli inni ispirati agli Shakers non erano pensati per essere melodiosi. Erano suoni viscerali, quasi animali. Io li ho vissuti come preghiere collettive. Cantare in quel modo è stato duro, ma anche liberatorio. Ha reso la spiritualità di Ann Lee molto concreta.» Molti critici hanno parlato di una tua prova intensa e fisica. Ti ritrovi in questa descrizione? «Sì. Interpretare Ann Lee ha significato abbandonare i filtri. Non preoccuparmi di apparire bella o perfetta, ma esprimere la verità del personaggio. È stata un’esperienza dura, ma anche catartica. Mi ha dato una libertà che non avevo mai conosciuto prima.» Eppure, nonostante questa libertà, il film resta fedele al periodo storico. Come si mantiene l’equilibrio? «C’era sempre attenzione alla storicità. Ann Lee è una figura realmente esistita, e questo impone rispetto. La regista è stata bravissima a bilanciare fedeltà storica e libertà espressiva. Io stessa mi sono sentita libera, ma radicata nella verità.» Che cosa ti ha lasciato Ann Lee, come donna e come attrice? «Mi ha insegnato che anche chi è invisibile può diventare guida. Le donne, allora, non avevano voce. Ma Ann Lee ha trasformato il dolore in forza. Questa è la sua eredità più grande, ed è ciò che porto con me anche adesso.»