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Alla ricerca della felicità

di Tommaso Martinelli

Numero 200 - Giugno 2019

Grazie alla suo bagaglio di esperienze, oggi Roberto Cerè aiuta le persone a migliorare la propria vita in ambito familiare e professionale


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È uno dei mental-coach più importanti a livello mondiale ma è anche un uomo dal cuore d’oro. Roberto Cerè, che negli ultimi anni ha scritto diversi libri rapidamente trasformati in best-seller, si racconta ad Albatros

Che cosa ti ha spinto a dedicarti a una professione così particolare e così affascinante?

“L’amore per il miglioramento. Una vera calamita. In ogni ambito della mia vita sono attratto da come poter migliorare: la forma fisica, le competenze, il rapporto con gli altri, gli affari... Fin da che ne ho memoria ho sempre ricercato nuove soluzioni per migliorare ciò che facessi o ciò che i miei amici, poi colleghi e adesso clienti, facessero.”-taglio-

Quali sono le richieste che più di frequente ti rivolgono i tuoi clienti?

“Un professionista si rivolge a un coach solitamente per due ragioni: iniziare qualcosa di desiderato o smettere qualcosa di indesiderato. Ovvero, per migliorare un’area della propria vita: gestire meglio il proprio business, il proprio team, il proprio tempo, la propria relazione... Oppure per correggere un comportamento indesiderato, ad esempio: smettere di fumare, di bere alcolici, di fare uso di droghe, smettere di essere scontrosi. Il coach diventa come un ‘amico’ qualificato capace di guidare il proprio cliente in un percorso in tre fasi: affrontare la realtà, pianificare il futuro, decidere e agire.”

Quanta responsabilità, ma anche quanta gioia, c’è da parte tua nel tentare di migliorare la vita di un’altra persona?

“La responsabilità è enorme. Si crea una relazione di fiducia dove il coach viene autorizzato dal cliente a influenzarlo. Questa ‘influenza’ deve assolutamente essere responsabile. Ma questa buona volontà, da parte del coach, non è sufficiente. Il coach potrebbe credere di muoversi in buona fede e con responsabilità, ma se non è ben preparato ed esperto, rischia (con alcuni commenti o parole fuori luogo) di deviare il corso delle azioni del suo cliente. Per quanto riguarda la gioia, invece, quella è sempre enorme. Avere il privilegio di guidare un individuo, un team, un’organizzazione a scoprire che cosa li limita e che cosa li potrebbe liberare e potenziare, è sempre una meraviglia. Mi sento certamente un privilegiato a fare questo mestiere.”

Quali sono le ragioni che più comunemente inducono una persona a voler imporre un radicale cambiamento alla propria vita?

“Ogni cambiamento nasce dalla spinta di due forze opposte: la voglia di vincere e la paura di perdere. Il bisogno di andare verso il piacere, e la necessità di evitare il dolore. Ecco che ognuno di noi è alla costante ricerca della propria felicità e soddisfazione mentre cerca di evitare fallimento e giudizio.”

Anche la beneficienza è un tema che ti è particolarmente caro. A ottobre terrai a Montecarlo un evento molto prestigioso che avrà anche un risvolto benefico...

“Con la Fondazione MICAP for Children abbiamo acquistato un terreno in Tanzania sul quale stiamo costruendo un orfanotrofio che accoglierà 200 bambini abbandonati e sieropositivi. Per avanzare più speditamente nei lavori di costruzione ho deciso di organizzare un grande evento di beneficenza dal 16 al 20 ottobre a Montecarlo, la Leadership Academy. Sarà occasione di incontro per professionisti, imprenditori e manager. Per 5 giorni guiderò i partecipanti della Leadership Academy a rivedere il proprio business sotto un punto di vista diverso, per portare finalmente in soluzione i problemi che li stanno rallentando o impedendo di emergere. Per tutte le informazioni -taglio2-sull’evento e su come poter partecipare questo è il link: https://www.leadershipacademymicap.com/

Negli ultimi anni, è divenuta di stringente attualità la questione dei cosiddetti “hikikomori”: adolescenti che decidono di isolarsi dal mondo. Puoi spiegarci in che cosa consiste questa forma di “disagio sociale”?

“È una forma diversa di socializzare. Non più nelle piazze o nei bar, ma su uno schermo con una tastiera. Mi rendo conto che possa sembrare triste e desolante, dobbiamo anche comprendere che stiamo vivendo un passaggio generazionale e tecnologico che inevitabilmente impatta anche la società, con i suoi modi di essere vissuta. Personalmente oggi non rinuncerei mai al contatto personale, comprendo anche le ragioni per le quali questi ragazzi si rifugino dietro a uno schermo o un telefono. Grazie al filtro di una tastiera, di ritocchi alle foto, di avatar, di alias, di nomi o nick name di copertura, quello che un tempo sarebbe stato uno ‘sfigato’ oggi può diventare un ragazzo libero e protagonista, esprimendo la sua creatività, socialità, e bellezza che altrimenti - in una piazza, bar, cortile, oratorio che sia - sarebbe stata giudicata, scherzata e magari emarginata. Certo, per noi nati prima del ‘90 è inconcepibile, ma io (nato nel ‘70) ricordo di non aver avuto un infanzia completamente felice e integrata. Probabilmente se avessi avuto 30anni fa le possibilità di oggi, sarei stato il ganzo del quartiere, anzi: della rete.”

Quanto si sta sviluppando anche in Italia questo fenomeno?

“È un fenomeno globale. La rete e le connessioni non hanno più limiti, ormai da svariati anni il mondo è un luogo unico, come è giusto che sia. La vera notizia è che continuano a parlarne scandalizzati, mentre i veri scandalizzati sono i ragazzi che ci guardano e non capiscono il nostro punto di vista. Viviamo nella terra di mezzo. Un ventennio di impensabili cambiamenti tecnologici e sociali che nessuno poteva prevedere con tanta lucidità. I nostri figli sono il prodotto di quel cambiamento. Anche in Italia. Come noi siamo stati il prodotto dei cambiamenti precedenti. I cambiamenti non vanno giudicati o combattuti, vanno invece vissuti con una nuova consapevolezza.”

Quali sono le ragioni che spingono questi giovani a una scelta di vita così estrema?

“Spesso è l’esempio. Esempio che arriva molto spesso dai genitori stessi, che passano gran parte del proprio tempo loro volta davanti a uno schermo, con il pollice protagonista dello scorrimento.”

Come possono essere aiutati a “guarire”?

“Diamo l’esempio per primi, riportiamo il dialogo a tavola. Diamo dei tempi di utilizzo, come ad esempio: puoi usare il telefono o il computer per lo stesso ammontare di tempo con il quale hai letto un libro di carta. La rete ha avvicinato le persone lontane, ma ha allontanato le persone vicine. Riprendetevi la vostra vita, e vedrete che i vostri figli prima o poi faranno lo stesso.”


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