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Trumpismi all’italiana

di Adriano Fiore

Il nostro paese vive un momento politico difficile e controverso – manco fosse una novità – del quale provare a scriverne può risultare ancor più complesso poiché foriero di previsioni plausibili


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poi smentite da una realtà che costantemente supera ogni immaginazione. Da un lato c’è chi si è reso conto che nell’ultima versione del PD sull’asse Renzi – Gentiloni dei valori etici e morali storicamente propri della Sinistra italiana non c’era quasi più traccia, provando a correre ai ripari con Movimenti esterni dalla vaga identità e composizione, o provando, con un tentativo ancor più arduo, di “correggere il tiro” all’interno del partito, esautorando l’ex Premier una volta per tutte; dall’altra parte della barricata, invece, troviamo la Destra (di tutti i tipi) che ha saputo trovare solamente in Salvini, nella Meloni o nel Silvio evergreen delle valide alternative per far fronte comune e provare stavolta a vincere (sigh!). -taglio- La barricata al centro dei contendenti, ovviamente, è rappresentata dal Movimento 5 Stelle, che con la fino ad ora ben poco convincente esperienza Raggi si sta costantemente interrogando (ovviamente attraverso la rete) su cosa vada cambiato, perché, chi deve farlo, come, quando, etc. etc. In uno scenario parimenti dominato dal caos – sebbene differente per tematiche scatenanti – più di vent’anni fa ebbe gioco facile Silvio Berlusconi, presentandosi come “l’uomo nuovo”, il “non politico” brillante, populista ed ammiccante quanto necessario per ammaliare trasversalmente tutto l’elettorato. Similmente, benché colpevolmente in ritardo sui tempi rispetto alla nostra reinterpretazione della democrazia rappresentativa, negli ultimi mesi gli USA hanno visto l’elezione del Presidente arancione, che ha basato come il Caimano nostrano la sua campagna elettorale sulla creazione di un personaggio mediatico intriso della dialettica soldi-donne-successo. Pensando, quindi, alla sempre fondata teoria dei corsi e ricorsi storici, nonché ricordandoci di essere inspiegabilmente influenzati almeno dal dopoguerra a questa parte dalle inclinazioni politiche statunitensi, c’è da considerare seriamente la possibilità che, in questo contesto, venga alla luce -taglio2- un Berlusconi 2.0, sicuramente acclamato a furor di popolo come il nuovo salvatore della patria. Poteva diventarlo Renzi se avesse deciso di schierarsi a destra, potrebbe esserlo Montezemolo, sebbene l’ultima débâcle delle Olimpiadi abbia assestato un duro colpo, potrebbe quindi essere il turno di Briatore, forte peraltro dell’amicizia con Mr. President. Chi sarà l’uomo nuovo? Il nome è ancora incerto, ma forse, a conti fatti, è l’ultima cosa che dovrebbe preoccuparci. Se tanto mi da tanto, il problema maggiore saranno le due idee politiche, che dato il trend internazionale potranno essere solamente basate sulla paura dell’altro, su un ritorno al passato dove “si stava bene”, e su un sempre maggiore controllo con sempre meno diritti in ossequio ad una maggiore sicurezza. È questo il mondo che vogliamo? Sarà questo la domanda essenziale che dovremo porci, andando oltre i proclami o i nostri interessi diretti e personali. La porta di un mondo razzista, sessista, xenofobo, classista e clientelare è davanti a noi con già la chiave nella serratura. Magari ad alcuni potrebbe venir la voglia di vedere dentro com’è, ma così si corre il rischio di venir chiusi fuori, risucchiati in un vortice dove, come scriveva Dante, è bene “lasciar ogni speranza”.





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