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Speranza o delusione?

di Antonio Morabito

Numero 188 - Maggio 2018

Nel mondo sono migliaia le persone che ogni giorno sono costrette a migrare lontano dal proprio paese d’origine per cercare riparo dalla violenza e dalle continue ingiustizie


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Ci sono storie che rivelano drammi che mai avremmo pensato di immaginare o vedere o di rivedere dopo gli orrori delle guerre mondiali. Sono storie di gente in fuga da bombardamenti, conflitti e tragedie, o vittime di soprusi a noi invisibili o riportate da una cronaca assuefatta a tutto che elenca morti e vittime al pari delle previsioni del tempo. C’è una scena, in particolare, che nell’immaginario collettivo e virale, ha colpito l’attenzione di tutti. Quella di un bimbo che dorme trasportato in una valigia, mentre la guerra infuria intorno, in contesti bellici localizzati a est di Ghouta in Siria. Un bimbo che vive, forse inconsciamente, un orrore indicibile assieme alla sua famiglia e alle migliaia di persone che si stipano intorno. Una valigia immagine di speranza o piuttosto di disperazione perché appartiene ad una umanità in cammino, anzi in fuga. Esseri umani senza tregua e senza pace. E i bambini sono sempre le principali vittime dei conflitti, ingiusti per antonomasia perché bloccano per sempre i sogni e le speranze. -taglio- E le piccole vittime sono le più indifese e invisibili perché rappresentano la debolezza di un genere umano umiliato a cui la vita non riserva un futuro ma dolore e morte. E la povertà è sempre alla base dell’abbandono. Gente che non ha niente, che vive in case distrutte in balia di guerra e bombardamenti, di cui ignorano le cause e i moventi. Così avviene anche nella vicina Africa, alle tribù Mbuti, nell’Ituri provincia della Repubblica Democratica del Congo ai confini con l’Uganda e Sudan. Si tratta di un popolo di pigmei, che vive nelle foreste pluviali vicino al Okapi National Park in capanne costruite con le foglie di mangongo. Ma nell’Ituri si trovano anche le miniere d'oro di Kilo-Moto. E questo rende questo gruppo etnico ancora più debole, obbligato a migrazione forzata a causa di deforestazione, caccia di frodo e violenze belliche. Così dimenticati angoli del mondo diventano teatri e scenari di piccole e dimenticate apocalissi che sfuggono all’attenzione distratta del pubblico mondiale. I dispacci delle Agenzie ONU per i rifugiati riportano sporadicamente che migliaia di persone fuggono dall’Ituri. Molti muoiono mentre tentano disperatamente di fuggire e trovare scampo nei Paesi vicini o affondano nel lago Alberto mentre cercano di salvarsi tra decine di migliaia di esseri umani in cerca di riparo. Secondo l’HNHCR oltre 400 mila persone si spostano dai luoghi di origine e decine di migliaia vengono uccise negli scontri tra le tribù Hema e Lendu per il controllo del bestiame e i diritti di pascolo. Vi sono poi migrazioni di massa sconosciute come conseguenza di “dominio delle acque” e della loro sottrazione al pubblico uso. Sono le trasmigrazioni di intere popolazioni da villaggi sfollati per -taglio2- costruzioni di dighe o centrali elettriche come avviene in regioni della Cina, dell’India in Asia e Africa. Ma migrazioni avvengono anche in conseguenza del controllo dei fiumi, di sorgenti d’acqua, di aree destinate a sfruttamento di risorse e materie prime da parte di multinazionali senza volto con sedi in paradisi lontani. Si tratta di fenomeni e decisioni imposti ai deboli della terra che obbligano popolazioni intere ad affrontare riallocazioni forzate e ricominciare nuove vite senza radici e senza comunità di origine. Le migrazioni sono un fenomeno di grande attualità che coinvolge popoli di tutti i continenti e che richiede grandi sforzi della comunità internazionale. Le Nazioni Unite ripetutamente denunciano fenomeni gravissimi di violazione di diritti umani in Libia a danno di essere umani in fuga e in cerca di rifugio. Fenomeni assimilabili alla schiavitù. In un epoca in cui non avremmo potuto immaginare di far fronte a barbarie e soprusi di questa natura. Secondo i dati Onu vi sarebbero nel mondo 40 milioni di persone soggette a lavori forzati in regime di schiavitù, inclusa la prostituzione, matrimoni forzati e traffico di essere umani. 71% sarebbero donne e uno su cinque bambini. Un grido di dolore planetario ignorato da società civili dei vari Paesi e dal sistema economico mondiale. Gli appelli si susseguono da parte delle autorità religiose - in primis Papa Francesco, Pontefice cattolico - e delle organizzazioni multilaterali. Purtroppo gli sforzi collettivi sono ancora troppo limitati per arginare un fenomeno che assume sovente dimensioni apocalittiche ma, nella gran parte dei casi, la maggioranza di questi drammi rimane invisibile.





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