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Le foto della Bellezza

di Franco Salerno

Numero 190 - Luglio-Agosto 2018

Viaggio nell’album della Letteratura latina, dai poeti d'amore ai testi sacri


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Fotografia. Questa parola fu mitica e misteriosa fini dalla sua nascita, in quanto significa “disegno della luce”, ottenuto, per uno strano paradosso, grazie ad una “camera oscura”, che, descritta già da Aristotele nel IV sec., fu usata per la prima volta nel campo della fotografia dal francese Joseph Nicéphore Niépce, al quale si fa risalire l'invenzione (1827) di quella che oggi si può considerare una vera e propria arte. Invece, da Louis Daguerre prende il nome, arcaico ma suggestivo, il dagherrotipo, brevettato nel 1829 dal fisico François Arago: termine che si ammantò subito di fascino, perché ricordava le soffitte delle case delle nonne, in cui polverosi bauli si trasformavano in scrigni di romantici ricordi. Oggi ognuno possiede una macchina fotografica nel proprio cellulare e ogni giorno vengono scattate miliardi di foto. Che spesso si inviano, si perdono, si cancellano: noi vorremmo che esse rappresentassero la nostra memoria e invece molti sostengono che scattiamo foto con il telefonino, più per mostrare qualcosa e noi stessi agli altri o, forse addirittura, come specchio per noi stessi. -taglio- Naturalmente, la fotografia non era presente nel mondo antico, ma l’antica Roma si avvaleva di altri strumenti e di altri codici espressivi, comunque “fotografici”. In questi giorni è stata scoperta una scritta negli Scavi di Pompei, che anticipa i moderni manifesti elettorali e che potrebbe corrispondere ad un sms o ad un tweet contemporaneo, il quale invita a votare per un candidato, dicendo che è adatto a governare lo Stato. Messaggio, questo, peraltro, oggi attualissimo e validissimo. Ma, se entriamo nel campo della letteratura dell’antica Roma, scopriamo che la descrizione, davvero “fotografica”, di persone nei versi dei poeti, equivale all’esaltazione della bellezza della persona stessa. Ad esempio, Publio Ovidio Nasone, sublime poeta d’amore vissuto a cavallo tra I sec. A. C. e I sec. d. C., fotografò la bellezza spontanea e naturale delle donne non vanitose. Perciò esaltò Corinna, la sua amata, per il fatto che ella esibiva le sue grazie con classe: corpo proporzionato, piede aggraziato, lunghi capelli, candore del volto cosparso di lieve rossore, occhi ammalianti. Dopo di lui, nel I sec. d. C., un altro grande poeta, Marco -taglio2- Valerio Marziale, trattò, fra gli altri, questo stesso tema,sfoderando, al contrario di Ovidio, una ironia sottile verso il lifting e i maquillage femminili. Egli ritrae, infatti, una matrona di fronte ai suoi infiniti unguenti e le dice, quasi anticipando Luigi Pirandello: “Tu risiedi, o Galla, in un centinaio di vasetti e la faccia, che mostri a noi, non è la tua”. Però, sembrerà strano, ma la più seducente fotografia di una donna bella per natura la troviamo nella “Bibbia” e, in particolare, nel “Cantico dei cantici”: “Quanto sei bella, amica mia, quanto sei bella! I tuoi occhi sono come colombe. Un nastro di porpora son le tue labbra! Dietro il velo, le tue guance rosse sono uno spicchio di melograno. I tuoi seni sembrano cerbiatti o gemelli di una gazzella che pascolano tra i gigli. Le tue labbra sanno di miele, sposa mia, la tua lingua ha il sapore del latte. Le tue bellezze nascoste sono un giardino di frutti”. Se leggessimo un poco di più il “Libro dei libri”, forse impareremmo a serbare nel nostro animo la foto non solo della Bellezza celeste, ma anche di quella terrestre, che della prima, per i medievali, è una prefigurazione.





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