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Godiamoci il momento!

di Michela Secci

Numero 190 - Luglio-Agosto 2018

Pierrick Bourgault con la sua nuova opera, ci spiega l’importanza di tornare al principio: quando eravamo noi e i nostri cinque sensi


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Giornalista e fotografo, vincitore del “Grand Prix AFJA” del giornalismo, per i suoi reportages in Iraq, Pierrick Bourgault, ha appena pubblicato il libro: “No Photo, photographions moins pour mieux vivre” (No foto, fotografiamo meno per vivere meglio). L’opera contiene 26 illustrazioni di Christine Lesueur e nelle sue 176 pagine, Pierrick ci invita a riflettere sul nostro rapporto con l'immagine e si interessa alla pratica corrente di fotografare eccessivamente.

Introduci in poche parole il tuo libro...

“È un opuscolo, un saggio, che denuncia l'uso eccessivo della fotografia nella nostra vita quotidiana. Mangiare, viaggiare, osservare, conversare, tutte le attività umane passano al macinino digitale, dietro l'occhio di plastica dello smartphone. Il mio libro, però, non condanna coloro che si dedicano all'immagine e sovraespongono le loro vite sulle reti: cerca di capire questo fenomeno della società, recente e potente. Sempre di più, dei genitori si preoccupano, all’avvicinarsi delle vacanze, se saranno in grado di offrire ai propri figli una vista così spettacolare come quelle che i loro amici pubblicano su Instagram. La comunicazione si spegne tra generazioni, in coppia, al tavolo del ristorante, in treno, in auto ... Il linguaggio è comunque una caratteristica preziosa dell'essere umano.” -taglio- A chi è indirizzato?

“A tutti! In questo libro ho fatto intervenire dei psicologi e una fototerapista, degli storici, dei filosofi, degli scrittori. Tutti danno il loro punto di vista su questo fenomeno così attuale e così diffuso. Anche Jean-Paul Sartre, Albert Camus e Marguerite Duras, che non lo conoscevano, formulano riflessioni semplici e illuminanti.”

Il fenomeno di fotografare tutto è diventato una mania invasiva, cosa si nasconde dietro?

“Esattamente, questo è quello che volevo capire indagando per questo libro. La risposta potrebbe essere il desiderio di essere amato, ovviamente, un po’ illusorio, perché l'immagine interviene e prende in considerazione solo la dimensione visiva. L'essere umano è più complesso, più completo. Spesso è meglio parlare, anche al telefono, con il suono della sua voce, piuttosto che scambiare messaggi. Altri motivi: la paura del tempo che passa e della scomparsa, il desiderio di conservare, di possedere… chi guarda poi queste immagini, questi video? Ed è anche edificante cercare ‘cosa c'è dietro’, dalla parte degli smartphone e dei fornitori di rete, così come l'uso successivo dei dati personali.”

Secondo te, è una dipendenza che porta al progressivo impoverimento del valore dell'esperienza vissuta e della capacità di godere della bellezza della realtà?

“Sì, perché è deplorevole limitarsi a un solo senso - la vista - e per di più su uno schermo piccolo. Per quanto riguarda il suono, è sinceramente meno buono di quello percepito -taglio2- dalle nostre orecchie. Quindi trasmettiamo attraverso i social network una brutta copia di un'esperienza che non abbiamo davvero vissuto, impegnati a filmare. Guardare dietro uno schermo non è il modo migliore per godersi la vita. Alla fine, cosa rimarrà di questa proliferazione di immagini su questi telefoni e dischi di computer obsoleti? Pochissimo, purtroppo! È l'opposto di ‘immortalare’. Questo impoverimento riguarda anche gli ‘album fotografici’ interrotti, che non si trasmettono da una generazione all'altra.”

Possiamo parlare di una vera patologia?

“La nostra Era gioca con parole forti. ‘Patologia, dipendenza, autismo, narcisismo…’ qualificano volentieri l'uso dello smartphone. È cosi all’orale, ma le parole hanno un significato che deve essere riservato alla psichiatria. Quindi, una ‘patologia’ è un fenomeno che sconvolge enormemente la vita di tutti i giorni. D'altra parte, quando tutti adottano queste stesse pratiche così ‘patologiche’, la persona che le rifiuta può sentirsi in disaccordo, persino discriminato. È la preoccupazione dei genitori anti-smartphone che ne offrono uno ai loro figli, o quei genitori vegetariani che cucinano carne per la loro famiglia che lo richiede.”

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

“Vivere meglio senza interporre schermi, un disco rigido, senza wi-fi, senza cercare disperatamente una presa per caricare il telefono. Vivere meglio con i propri cinque sensi e la propria memoria viva.”





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