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Ambizione reale

di Emanuela Chiumeo

Numero 190 - Luglio-Agosto 2018

Laura Peretti, vincitrice del Concorso Rigenerare Corviale, alla Biennale di architettura di Venezia con un progetto che sembra rispecchiare più di ogni altro le linee guida del Manifesto


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La Biennale di Architettura di Venezia, ha visto per il primo anno la partecipazione di Laura Peretti, con un progetto legato al concorso, da lei vinto nel 2015: "Rigenerare Corviale: Look Beyond the Present". Verrebbe da pensare che la Peretti aveva predetto il futuro, ma come lei stessa dichiara “Più che prevedere il futuro, potrei dire che sono ormai maturi i tempi di uscita dall'incubo delle archistar e da un modello datato di sviluppo urbano.” Nello specifico, Corviale – com’è noto il progetto - è l'ultimo grande progetto sociale realizzato a Roma alla fine degli anni '70, e rimasto incompiuto. Nel tempo, in virtù dell'incompletezza dell'edificio, erano maturate domande troppo a lungo inevase, per le quali invece si richiedevano risposte impellenti. Da questa necessità nasce l'idea del concorso internazionale a cui ha partecipato Laura Peretti. Noi di Albatros l’abbiamo intervistata in esclusiva.

Come è intervenuta Laura Peretti e il suo studio INSITO nel progetto Corviale?

“Il bando aveva alcuni limiti ed era incentrato principalmente sulla creazione di spazi pubblici comuni, che allo stato attuale il progetto non ha. Con le mie proposte sono andata oltre le richieste del bando e ho lavorato su quello che in gergo viene definito ‘l'attacco a terra dell'edificio rispetto alla città’. Essendo un edificio così imponente, l'unica cosa che poteva stargli a scala altrettanto comparabile è il paesaggio circostante. Questo ci ha permesso di ampliare lo spazio pubblico al punto di creare una piazza.”

Dove sarà collocata la piazza? -taglio- “Abbiamo deciso di inserirla nel punto più difficile, a metà di Corviale. Un punto dove c'è un salto, ma dove c'è anche un minimo di aggregazione umana. Il salto, di nove metri, è un elemento di grandissima discontinuità ed è colmato da un muro e da un ponte. Per accedere al ponte, devi salire delle scale. Questo lo rende inservibile, e crea quindi una sorta di frattura. Ho cercato di dare all'edificio grande permeabilità, che tuttavia non intende tradire le intenzioni del suo creatore, l’architetto Fiorentino. Collegare la città alla campagna può solo far sì che l’edificio sia vivo, invece di restare bloccato fuori dal mondo, insieme alle 7.000 persone che vi abitano. Un'altra questione più spigolosa è il ricongiungimento dell'edificio con il suolo circostante. Esiste un gap dell'edificio per come è pensato e come appoggia. Non si tratta di un problema architettonico astratto, ma di qualcosa legato alla vita quotidiana di migliaia di persone. È un tema fondamentale. Nella realtà i corpi-scala esistono, nel progetto li ho resi più espliciti, portandoli in avanti. Per snellire ulteriormente i varchi di accesso, ho aumentato a 27 gli ingressi contro i 5 finora esistenti. La piazza avrà un edificio, l'unico visibile di una certa dimensione, destinato allo sviluppo della biodiversità, che si farà carico di dare uno sbocco professionale, di reddito, a chi non ha lavoro e si diletta già di orti e attività artigianali. L'edificio potrebbe trasformarsi in un laboratorio per start-up di giovani che intendano specializzarsi in campo agricolo o in attività sostenibili. In tal modo, si riesce a contemperare a diverse esigenze di tipo occupazionale, biologico e architettonico, tecnologico. Ma allo stesso tempo si dota la piazza di un edificio civile, necessario anche a delimitarla.”

Chi ha sostenuto il progetto? Quali i prossimi passi?

“Il concorso internazionale è stato fortemente voluto dalla Regione Lazio, che lo ha sostenuto in parte anche dal punto di vista finanziario. Per ultimarlo, serve il restante 50% dei fondi stanziati. Il progetto definitivo è comunque pronto e ne parleremo prossimamente. Quel che spero è che possa diventare un progetto-pilota. Già aver bandito -taglio2- un concorso internazionale rappresenta un passo in avanti, ma bisogna poi creare un processo virtuoso che dia un'iniezione di fiducia a chi occupa quelle abitazioni. Corviale deve essere un luogo da dove ripartire anche dal punto di vista lavorativo.”

Lei ha vissuto a lungo all’estero. Quanto hanno inciso nella sua formazione gli 8 anni trascorsi in Portogallo?

“La mia scelta di perfezionare i miei studi all'estero si legò principalmente all'esigenza di unire la teoria, in cui noi italiani siamo fortissimi, alla pratica di cui invece avvertivo fortemente la mancanza. In Portogallo ho lavorato con lo studio di Edoardo Suto de Mora e poi con Alvaro Siza; l’esperienza portoghese è stata la mia vera formazione, grazie ad una solidissima scuola di mestiere, dove fai l'architetto dalla A la Z, dove impari a fare tutto.”

La prima volta del Vaticano alla Biennale, la prima volta del'Arabia Saudita, la prima volta di Laura Peretti. Da questa esperienza cosa pensa di aver acquisito?

“Essere stata scelta fra tanti architetti nel mondo, essere affianco a quelli che sono stati i miei maestri, mi ha dato un’enorme emozione. Nello specifico di questa Biennale, la frase che mi è piaciuta e che ne racchiude lo spirito è che ‘l'ultima tecnologia non è per forza la migliore, valgono tutte le tecnologie’. Ricollegandomi a questo, posso dire che ciò che attrae della Biennale è il fatto che ogni Paese porta il meglio di quel che ha. Questo ti fornisce un panorama della molteplicità del mondo in cui viviamo, assieme alla sensazione che qui abbiamo lasciato fuori la tirannia tecnologica, ideologica e politica.”

Quale i suoi progetti futuri?

“Credo che il progetto futuro continuerà ad essere principalmente Corviale, considerando le sue dimensioni. Speriamo soprattutto che diventi il presente. Non basta aver ideato il progetto, aver vinto il concorso, aver partecipato alla Biennale. Per me, riuscire a realizzarlo è la vera scommessa da vincere. In generale, mi piacerebbe lavorare molto di più in Italia.”


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